giovedì 15 agosto 2013

Il nome della rosa



Il nome della rosa (Der Name der Rose, in inglese The Name of the Rose) è un film del 1986 diretto da Jean-Jacques Annaud, tratto dall'omonimo romanzo di Umberto Eco del 1980.
Il film ha vinto numerosi premi internazionali, tra cui quattro David di Donatello 1987.



Nel 1327, alcuni terribili omicidi sconvolgono un'abbazia benedettina sperduta sui monti del Nord-Italia. Nel monastero dovrà svolgersi un importante concilio francescano a cui è chiamato a partecipare il dotto frate Guglielmo da Baskerville. Nel contempo, l'abate affida a Guglielmo le indagini degli omicidi in virtù della sua esperienza di inquisitore, senza dimenticare le vociferazioni sull'Anticristo che da sempre circolano nell'abbazia. Il francescano, insieme al suo giovane novizio Adso da Melk, si ritrova in un ambiente ostile, un'abbazia piena di libri e di cultura ma anche segreta e spaventosa, su cui dovrà indagare prima dell'arrivo della Santa Inquisizione.

Produzione

Dopo 5 anni di preparazione il film viene girato in 16 settimane fra gli studi di Cinecittà, i suggestivi ambienti nell'Abbazia di Eberbach in Germania (l'abbazia del film) e la Rocca Calascio in Abruzzo. Molte scene del film sono state girate a Castel del Monte (Andria), in Puglia.
Fu distribuito in anteprima negli Stati Uniti d'America il 24 settembre 1986, mentre in Italia giunse il 17 ottobre dello stesso anno.
Inizialmente il film doveva essere ambientato nella Sacra di San Michele (l'abbazia ispiratrice di Eco per il suo romanzo[1]), poi questa scelta venne reputata troppo dispendiosa dai produttori.[2]
Differenze rispetto al romanzo [modifica | modifica sorgente]

Il film, con il consenso di Umberto Eco, è stato tratto dal suo romanzo del tutto liberamente e autonomamente, tant'è che nei titoli di testa non è stato scritto "tratto dal romanzo di Umberto Eco", ma "tratto dal palinsesto del Nome della Rosa di Umberto Eco". "Annaud ha deciso", dice Eco, "di definire nei titoli di testa il suo film come un palinsesto dal Nome della rosa. Un palinsesto è un manoscritto che conteneva un testo originale e che è stato grattato per scrivervi sopra un altro testo. Si tratta dunque di due testi diversi". "Ed è bene" aggiunge Eco "che ciascuno abbia la sua vita. Annaud non va in giro a fornire chiavi di lettura del mio libro e credo che ad Annaud spiacerebbe se io andassi in giro a fornire chiavi di lettura del suo film". "Posso solo dire" aggiunge Eco, "per tranquillizzare chi fosse ossessionato dal problema, che per contratto avevo diritto a vedere il film appena finito e decidere se acconsentivo a lasciare il mio nome come autore del testo ispiratore o se lo ritiravo perché giudicavo il film inaccettabile. Il mio nome è rimasto[3] e se ne traggano le deduzioni del caso."[4]
Ne consegue che il film presenta differenze, in alcuni casi anche rilevanti, rispetto sia alla trama sia alle tematiche che s'intrecciano nel romanzo di Eco. La differenza principale rispetto all'originale sta nella rimozione delle discussioni teoriche, troppo complesse per poter essere riportate al cinema (specie le scene iniziali tra Guglielmo e l'abate e tra Guglielmo e Ubertino, ridotte a pochi frammenti. Idem per quanto riguarda il processo a Remigio e l'ultimo decisivo scontro tra Guglielmo e Jorge).
Ne risulta una visione della storia più semplice, meno inserita in un contesto culturale e volutamente complesso, dove la soluzione del giallo e le chiavi interpretative sono sapientemente nascoste proprio nelle lunghe digressioni storico-filosofiche. Purtroppo ne risente proprio il significato principale del romanzo, che indica come nel mondo non vi sia un ordine e un responsabile preciso del bene e del male, ma un insieme di cause in cui è impossibile riconoscere alcunché. Nel film, invece - per motivi meramente spettacolari - i colpevoli sono ben delineati e puniti come il pubblico si aspetta che sia (vedi la scena dei roghi e la morte di Bernardo Gui, assenti nel romanzo e, in particolare per quest'ultimo episodio, un grossolano falso storico[5]). Allo stesso modo manca anche qualsiasi accenno alla sottile ammirazione nutrita da Guglielmo nei confronti di Jorge, conferendo quindi un aspetto prettamente odioso al vecchio personaggio (come vuole la retorica del "cattivo").
Nel film, inoltre, è stata aggiunta la scena finale con l'apparizione dell'amante di Adso, mentre del tutto arbitraria è l'associazione tra l'ignoto nome della ragazza e il nome della rosa, come se solo questo fosse la metafora ultima dell'intera vicenda (l'associazione è chiara in quanto espressa dalla voce narrante alla fine esatta del film).
Tra i tanti particolari non fedeli al libro, l'aiuto bibliotecario Berengario non proferisce parola, Malachia è tratteggiato molto più negativamente e l'abate si dimostra meno fiducioso delle capacità di Guglielmo. Non v'è inoltre traccia di numerosi personaggi che nel libro rivestono ruoli non del tutto secondari (Bencio, Nicola il mastro vetraio, il centenario Alinardo etc.). La biblioteca è rappresentata in maniera assai più spettacolare a livello scenografico (nel libro è in un solo piano). Rispettata, invece, l'atmosfera fredda e invernale del monastero, che costituisce uno dei motivi del fascino della storia. Inoltre il giovane Adso, novizio benedettino nel romanzo, è, nel film, un novizio francescano e inizialmente ignora del tutto i trascorsi di Guglielmo come inquisitore.

Curiosità 

L'Abbazia di Eberbach a Eltville am Rhein in Assia (Germania), dove è stato girato parte del film.
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Helmut Qualtinger, che nella pellicola interpreta Remigio da Varagine, morirà appena finite le riprese, per il peggioramento improvviso delle sue già precarie condizioni fisiche.
Il film ha detenuto il record d'ascolto di 14.672.000 telespettatori su Rai 1 per ben 13 anni, dal 1988 al 2001, quando fu trasmesso il film di Benigni La vita è bella, che registrò un dato d'ascolto di 16.080.000 telespettatori.
Franco Franchi era stato scelto per il ruolo di Salvatore, ma poiché rifiutò di sottoporsi alla tonsura dei capelli il ruolo fu dato ad un allora sconosciuto Ron Perlman.


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